Veder non puoi la differenza tra il mondo nascosto e questo, tra il benessere e sofferenza. In verità non sei un uomo in questa Via: sei solo un ragazzo.

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La Scoperta delle Risposte alle Domande Fondamentali

 

Esiste una vita dopo la morte?

di Giovanni Quinti

 

 

Sono di ritorno da un viaggio.

Il vagone è vuoto; a quest’ora di domenica il treno non è gremito dei soliti pendolari. Giunto a Milano e diretto verso Torino salgono tre donne dai 50 ai 60 anni accompagnate da una poliziotta.I loro visi sono visibilmente sconvolti.

Si siedono nel mio scompartimento. “Appena arriverete a Torino vi verranno a prendere” con queste parole la poliziotta scende. Con uno spiccato accento campano le sento parlare fra loro: “Cosa ti ha detto?”  “Non mi hanno saputo dire niente!”  “Ma almeno sapere se è morto o non è morto!” Una di loro inizia a piangere disperatamente. I miei sensi si acutizzano, voglio sapere cosa è successo, perché tanto dolore. “Dobbiamo telefonare a Giuseppe! Sapere a che punto sono arrivati!”  “Non lo so usare il telefonino io! Come si fa il numero?”.

Alzo la testa, la donna che parla mi guarda. “Mi puoi aiutare?” io sorrido.

Prendo il suo telefonino e compongo il numero che mi detta. Scoprono che Giuseppe è già a Torino, ma non sa ancora nulla.Anche io non so nulla. Cosa è successo? Posso essere di aiuto in qualche modo? Queste domande le pongo senza rendermene conto.  Scopro che sono tre sorelle. Una mi sussurra con un filo di voce: “Ho un figlio di 22 anni, si chiama Francesco. E’ partito 20 giorni fa con un signore che lo ha portato in giro con un camion. Voleva imparare a fare il camionista! ‘Posso guadagnare molti soldi e girare il mondo’ era solito ripetermi. L’ho lasciato andare. Regolarmente mi telefonava, avvisandomi di tutto: come era andato il viaggio, come si sentiva, in che città era. Erano arrivati in Spagna. Poi sono ritornati in Italia, in direzione di Torino e sarebbero dovuti ripartire domani per la Svizzera. In questi ultimi giorni lo sentivo stanco, al telefono mi diceva che non voleva continuare. Aveva cambiato idea. Ieri sera mi ha spiegato che avrebbe ripreso il treno per tornare a casa. Noi siamo di Eboli. 

Mi ha detto che sarebbe arrivato alle 6,30 di stamattina. Mi sono svegliata alle 5 per andarlo a prendere. Giunta in stazione, in testa al binario, all’arrivo del treno, lo attendo inutilmente. Francesco non arriva. Al suo posto, invece, giungono due carabinieri che dicono che devo partire urgentemente per Torino, che è successa una cosa grave. Non mi dicono che cosa, ma che devo partire immediatamente. Telefono alle mie sorelle e ci avviamo subito per Milano e lì cambiare per Torino.

Non so cosa è successo a mio figlio!” Dopo questo racconto si alza e va in bagno. Rimango solo con le altre due che mi guardano con le lacrime agli occhi.

La sorella confidenzialmente mi sussurra: “Ho sentito mio cognato che mi ha detto che Francesco è morto. Non sappiamo ancora come è accaduto, ma io non so come dirlo alla madre. E’ da stamattina che lo so, i poliziotti me lo hanno confessato di nascosto.” Un urlo proviene dal corridoio. Scappiamo in direzione del bagno, forziamo la porta e troviamo la madre accasciata per terra, svenuta. Anche se nessuno glielo aveva ancora detto, una parte di lei sapeva che suo figlio non c’era più.

Rianimata la madre, ci siamo abbracciati. Tutti e quattro, uno sconosciuto con tre sorelle. Eppure, in momenti di così grande dolore non esistono più le resistenze provenienti dalle nostre false personalità. Il dolore abbassa le difese ed acutizza altri sensi. In pochi minuti sentivano che potevano fidarsi di me e mi hanno permesso di entrare nella loro sfera più intima. Abbiamo pianto. Francesco per me non era nessuno, eppure in quell’istante è diventato il mio amico più caro, il fratello più vicino, il figlio più desiderato. Ho abbracciato la madre, accarezzandole i capelli. L’ho guardata negli occhi e le ho comunicato che doveva prepararsi al peggio. Le sorelle erano terrorizzate di questa mia rivelazione, ma la madre abbassando lo sguardo le ha sorprese dicendo: “Lo so”.

Intanto eravamo ormai entrati a Torino Porta Nuova.

Tutti noi abbiamo amici, fratelli, figli. Francesco, domani, potrebbe chiamarsi con il nome di uno dei nostri affetti. Ma in fin dei conti cos’è l’esistenza umana? Una lacrima ed un sorriso, un abbraccio ed un addio.

Eppure rimane in gola, strozzata dalla paura di non poter avere una risposta, una domanda fondamentale: “Francesco, adesso, dov’è?”

Personalmente posso dire che Francesco è nel mio cuore. Lo sento vicino a me, ora che sto scrivendo, qualche giorno dopo quella indimenticabile domenica. Sicuramente è nel cuore di sua madre e delle sue zie.

Vive in noi. Capisco che è un punto di vista “romantico” eppure è l’unico che un uomo ordinario può cogliere. Per quanto riguarda il resto vi è il buio più completo. 

Eppure per l’uomo che esperimenta le cose dello spirito e non solo le teorizza, per i Maestri del passato, per i Testi Sacri scritti da individui evoluti esiste una risposta a questa domanda.

La cosa più affascinante è scoprire quello che pensavano i primi cristiani a riguardo (che poi è perfettamente in linea con il pensiero di Gurdjieff) e come questo si distanzi dalle opinioni religiose comuni.


L'articolo prosegue sulla dispensa con un'analisi di quanto le Sacre Scritture ci indicano riguardo alla ricerca del Regno di Dio, quale sia il cammino che un uomo sulla Via deve percorrere per raggiungere la meta da vivi, per sviluppare dentro di sè un "Io" che sopravviva alla morte del corpo fisico.

 

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