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Le motivazioni dell'abbandono di Gurdjieff da parte di Ouspensky


 

Il tassello che li separò...

di Giovanni Quinti

 

 

Per quale motivo il sig. Ouspensky abbandonò il lavoro di monsieur Gurdjieff? Questa domanda non è banale. Ouspensky è stato il principale allievo di G. nel far conoscere al mondo il suo metodo. Senza di lui, molto probabilmente, il lavoro di G. non sarebbe giunto a noi così come lo è oggi. Egli era profondamente legato al Maestro, avendo deciso di dedicare tutta la sua vita e la sua attenzione al metodo del “maestro caucasico”, durante gli Otto anni di apprendistato. Già dopo i primissimi giorni di vicinanza, scrive:

"Avevo l’intima convinzione che per me qualcosa era già cambiato e che ora tutto stava per prendere una via diversa”.
(Frammenti di un Insegnamento Sconosciuto — pag. 35). In Frammenti di un I. S. leggiamo tutti gli studi fatti, le riflessioni emerse ed i collegamenti concettuali che oggi formano quello che definiamo il “metodo” di O. Nonostante, però, tutte le riflessioni filosofiche e le scoperte emotive cresceva in lui, quasi contemporaneamente, una fondamentale insoddisfazione, la percezione di una sostanziale differenza fra lui e G. che comprese

solo dopo moltissimo tempo, ma che sin dall’inizio gli risultò chiara: “... vi erano idee che non potevo accettare e che mi sembravano fantastiche. . .“ (pag. 34).In altri momenti egli si sorprende di alcune persone che pensavano di aver capito tutto il sistema di G già dopo pochissimo tempo che lo frequentavano, mentre ancora erano molte le cose che, per lui, non erano chiare. In una occasione Ouspensky fece una straordinaria esperienza, che considerò quasi “supernormale”, nella quale fece il tentativo di comprendere il motivo di tale insoddisfazione. Vediamo cosa accadde. Si trovava in presenza di G. con altre persone, quando, d’un tratto

“... cominciai ad udire i suoi pensieri. Eravamo seduti in quella piccola camera dal pavimento di legno senza tappeto, come se ne trovano nelle case di campagna.... G. sedeva tranquillo e continuava a tacere. Ma ecco che nel silenzio, intesi la sua voce dentro di me, come una domanda precisa. Guardai verso di lui: stava immobile e sorrideva. La sua domanda aveva provocato in me una fortissima emozione. Tuttavia gli risposi affermativamente (ad alta voce). “Ma perché dice questo?” domandò G. “Gli ho forse chiesto qualcosa?” E (dal mio interno) mi pose immediatamente un ‘altra domanda ancora più pressante, nello stesso modo. E io gli risposi di nuovo con voce naturale. (Gli altri) . . . erano visibilmente stupiti... G. mi poneva domande silenziose ed io gli rispondevo ad alta voce. Ero molto agitato....” (o.c. pag. 291 — le parentesi sono nostre). Questa esperienza lo sconvolse profondamente. Si sentiva turbato perché le domande che questa “voce interiore” gli poneva erano straordinariamente attinenti alla sua vita, ai suoi problemi, forse anche agli ostacoli che non riusciva a superare: si trovava di fronte a se stesso. “.... (quella voce mi fece capire) che G. aveva ragione: tutto ciò che avevo considerato in me come solido e degno di fiducia, in realtà, non esisteva...” (o.c. pag. 292 - le parentesi sono nostre).

 

 

L'Articolo continua spiegando quale fosse il "tassello mancante" la Chiave di lettura che Ouspennsky definiva fondamentale. Di che cosa si trattava? Cosa Gurdjieff non gli aveva ancora rivelato?

 

 

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