Spesso pensiamo che l’amore debba obbligatoriamente avere un destinatario. Si può essere innamorati, in estasi e felici sono per qualcuno o al massimo, per i più narcisisti, per se stessi e la propria immagine. Eppure non è così; l’amore dà a chi lo prova una forza straordinaria ed il presupposto innovativo dal quale dobbiamo partire è proprio che l’amore è una “stazione del cuore” che è possibile provare anche laddove non ci sia qualche destinatario ad accoglierlo. Non sto nemmeno parlando dell’amore religioso o mistico, comunemente inteso. Anche tale amore ha un destinatario, anche se invisibile.
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Nelle Scritture vediamo che Giuseppe non parla mai con Dio, non prega come faceva suo padre, non piega le ginocchia, non lo invoca, non lo chiama nei crocicchi e non lo supplica nelle difficoltà. Non si veste di cilicio, né si sparge la testa con cenere. Eppure “…l’Eterno fu con Giuseppe…” (Gen. 39:21) perché egli arrivò all’essenza ultima dell’insegnamento, quella dove l’uomo si fonde con “l’Eterno” e dove né più il concetto di uomo, né più il concetto di divino esistono. Servì Potifar, un ufficiale del Faraone, poi servì il carceriere che lo teneva prigioniero,
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servì alla fine lo stesso Faraone in persona.
Attraverso il servizio egli imparò ad amare; imparò la fedeltà. Giuseppe continuamente deve negare il suo piccolo io, è costretto dalla vita a farlo, non può sottrarsi. E quando il piccolo io è negato, compare il grande Io, il Padrone. Non è una questione di fede, non è una questione religiosa di preghiere o invocazioni, è una “conseguenza tecnica”. Per questo la Vera Via non è una Fede, né una religione, anche se ne adotta le forme. Essa è una “modalità” o una “conoscenza di modalità” del sistema attraverso il quale l’uomo possa centrare se stesso; eppure anche una tale definizione è incompleta, perché la vera Via non è una scienza, anche se di tutte le scienze ne è la base.
“Giuseppe fu portato in Egitto e Potifar, ufficiale del Faraone, capitano delle guardie, un Egiziano, lo comprò da quegl’Ismaeliti, che lo avevano portato lì. E l’Eterno fu con Giuseppe, il quale prosperava e stava in casa del suo signore, l’Egiziano. E il suo signore vide che l’Eterno era con lui, e che l’Eterno gli faceva prosperare nelle mani tutto quello che intraprendeva. Giuseppe entrò nelle grazie di lui, e attendeva al servizio personale di Potifar, il quale lo fece maggiordomo della sua casa e gli mise nelle mani tutto quello che possedeva.” (Gen. 39:1-4) Giuseppe aveva una straordinaria capacità di mettere se stesso in tutto quello che faceva, con il massimo impegno. Sapeva governare una casa, organizzarne l’amministrazione, aveva la giusta sensibilità ed intelligenza per farlo. Il padrone gli aveva lasciato tutto nelle mani. Questo passo ci mostra innegabilmente l’evidenza di una stretta connessione fra il concetto di “buon governatore” e il gurdjieffiano “maggiordomo interinale”.
Esiste un proverbio che afferma: “Chi non sa cosa sia il servire, tantomeno saprà cosa sia l’insegnare.” Ma in che modo Giuseppe riuscì a centrare se stesso? .L'articolo prosegue sulla dispensa continuando
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