Esistono diversi io che possiedono delle caratteristiche precise, dei tratti che li contraddistinguono dagli altri e che grazie agli stimoli casuali RE-attivi esterni ed interni prendono, in un certo momento, governo sulla macchina umana.
Tale frammentazione dell’Io procura una vera e propria lotta interiore che rende l’uomo schiavo di se stesso e dell’ambiente esteriore. Obiettivo del lavoro su di sé è costruire tale unità, placare i conflitti interiori e ristabilire un rapporto di relazione armonioso e sereno. Per raggiungere tale scopo l’uomo deve iniziare un Lavoro su se stesso. Tale “lavoro” si deve postulare sullo studio (o osservazione) di sé che deve essere parte assolutamente preliminare a qualsiasi intervento.
L’osservazione, secondo la Quarta Via, porterà ad alcuni postulati fondamentali: l’uomo pensa di avere già delle caratteristiche che invece non ha affatto. Questo gli impedisce di cercare di lavorare nella direzione giusta, nel tentativo di un ottenimento reale di tali caratteristiche. Se una persona pensa d’essere capace di smettere di fumare assai probabilmente non si metterà mai alla prova smettendo davvero!
Quali sono questi “assunti” dati per scontato? Ognuno di noi crede di avere:
- Un Io permanente e centrato
- Lucidità di coscienza
- Volontà libera
- Capacità di “fare”
- La consapevolezza di ciò che gli manca.
L’uomo immagina di avere queste caratteristiche, nello stesso modo in cui, mentre dorme, sogna di possedere un bel paio di ali.
Arriviamo, quindi, al secondo principio fondamentale della Quarta Via:
L’individuo immagina di vivere realmente, mentre giace in uno stato di ipnosi, come un sonnambulo.
Di cosa è fatto tale “sonno della coscienza”? Non solo dell’illusione di avere alcune cose che in realtà non possiede, ma anche del fatto che, credendo appunto di averle, perde qualsiasi possibilità di averle davvero. Comune-mente la reazione di un uomo alla provocazione di un altro (sia essa un’aggressione o una carezza) sarà automatica e non scelta. Nei nostri comportamenti altro non facciamo che riproporre ripetitivi modelli comporta-mentali (senza chiederci affatto se sono o meno adeguati). Gurdjieff, qualche anno prima di Freud, definiva tale “coazione a ripetere” con il termine “meccanicità”.
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La caratteristica fondamentale della meccanicità è nel suo essere coatta. Leggiamo le parole dello psicologo Giovanni Callegari: “La coazione appunto è l'obbligo che ha il soggetto di rifare l'azione che potrebbe anche danneggiarlo solo per un bisogno incontrollato ed automatico…
Una scena veramente colta al casinò di Sanremo dove un giovane con in mano il secchiello dei gettoni, in piedi vicino ad
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una slot, inseriva i gettoni e schiacciava il pulsante e dopo aver costatato di non aver vinto nulla, piangendo, inseriva altri gettoni nel moto di andarsene, ma tornava ad inserire gettoni non appena vedeva il risultato negativo e, piangendo ripeteva quella pantomimica straziante per molte volte. Vedere un soggetto così asservito all'imperativo superegoico del "devi godere" faceva male, sembrava quasi un burattino nelle mani di un burattinaio sadico e invincibile. Il soggetto espropriato del suo buon senso che comunque era lì, presente nelle sue lacrime, ma impotente nello staccarlo dal suo godimento.”
Esiste una via d'uscita a questa situazione? L'Articolo continua spiegando le caratteristiche principali del lavoro proposto da Gurdjieff.
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