Dopo lo scioglimento del gruppo ho provato una solitudine immensa.
Una persona che amo molto l’ha definita in modo esatto con l’espressione “sentirsi orfani”.
È una presa di coscienza essenziale: l’idea di essere orfani in questa vita, e quindi di non avere appigli e consolazioni in questo luogo, è centrale nel Lavoro. Un’esperienza drammatica e vissuta pienamente: non ci sono vie di fuga, non ti resta che ammettere a te stesso la tua incapacità a fare, la tua impotenza di fronte a eventi più grandi, la tua solitudine immensa… in una parola la tua “nullità”.
Duole dirlo, ma questo è l’inizio di tutto.
Io vivo nella separazione.
Quello che dovrebbe avvenire in un gruppo non è che una rappresentazione di processi interiori individuali: infatti che cos’è un gruppo se non un insieme di voci che dicono cose diverse e tirano in diverse direzioni?
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In alcuni momenti – l’esercizio del giovedì, Celleno, un colloquio intimo con il Maestro, un momento di gioia che segue a una bella esperienza insieme – le singole voci sembrano accordarsi in un’unica musica e dire tutte la stessa cosa… è un momento in cui esse si avvicinano alla Voce essenziale.
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Rari momenti estatici, in un’atmosfera rarefatta. Non è facile descriverli, si sente una grande pace, le preoccupazioni ci abbandonano: è la perdita di sé.
Ma nella maggior parte dei casi non è così: le voci si gridano addosso l’una con l’altra, chiacchierano inutilmente di argomenti banali, in una parola il sonno. Anche in un gruppo, come nell’interiorità di ciascuno di noi, ci sono degli “io di Lavoro” che (ora l’uno, ora l’altro) tirano gli altri “io”, recalcitranti alla fatica, nella giusta direzione.
Al gruppo di Catania è accaduto qualcosa che capita spesso a chiunque si trovi nel Lavoro.
Cosa è successo al gruppo di Catania perché il Maestro ha sciolto quel gruppo? L'articolo prosegue sulla dispensa.
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